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Campania, la cooperazione sociale come il “calabrone” che vola nonostante tutto

Autore: Anna Ceprano*
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Questo Congresso rappresenta un momento importante della vita di Legacoopsociali in Campania. Ci siamo arrivati con un lavoro impegnativo, intenso, attraverso i Gruppi  di lavoro – Immigrazione, Carcere, Politiche sociali del Comune di Napoli, Beni Confiscati, Salute Mentale, PTRI (quest’ultimo anche come Alleanza delle Cooperative Sociale) – in cui si è discusso del nostro presente per immaginare e cambiare il nostro futuro, in un momento storico particolare, nel pieno di una inedita crisi mondiale determinata da una emergenza sanitaria pandemica.

Legacoop era ed è la vostra Associazione ma doveva riconquistare la vostra fiducia, non ci conoscevate più e, quindi, non riuscivate a riconoscerci: è un percorso in progress, molto ancora resta da fare, Cooperatrici e Cooperatori da raggiungere, ascoltare, coinvolgere. Ma questa mattina ci consegna una fotografia differente, l’immagine, appunto di una comunità di nuovo insieme in cammino, in cui le Cooperative vogliono esserci perché consapevoli che in un contesto come quello attuale, di grande complessità sul piano economico, sociale e ambientale, dove aumentano le diseguaglianze, le povertà, le insicurezze e la precarietà, sia più che mai indispensabile un solido ancoraggio ad un sistema di valori che dia alle persone il senso di una identità e di una appartenenza condivisa. Ecco perché, come cooperazione sociale, siamo chiamati a sviluppare nuova iniziativa, a rafforzare i tratti della nostra identità, del nostro ruolo sociale e della nostra capacità imprenditoriale, a riaffermare la nostra sintonia con i bisogni e le più rilevanti aspettative della società.

Noi non siamo quelli del mercato e dell’economia che producono ricchezza fine a sé stessa, dove si gioca con il denaro sulla pelle dei piccoli risparmiatori, un mercato ed una economia mosse solo dal culto sfrenato del profitto ad ogni costo, dove la via maestra è la speculazione, dove si sacrificano sull’altare della concorrenza le persone.

Il nostro modello d’impresa quelle stesse persone le mette al centro, con l’esigenza di trovare adeguata remunerazione per il lavoro svolto o la necessità di vedere realizzate  le proprie prospettive di crescita e sviluppo sostenibile, di migliore qualità della vita, con servizi adeguati al bisogno.

Ecco perchè abbiamo necessità di un progetto che impegni le Cooperative ad agire su obiettivi comuni e condivisi, un progetto che intenda riaffermare e rinnovare la capacità della cooperazione sociale di coniugare libertà e sicurezza, imprenditorialità e partecipazione. Perché su queste basi la cooperazione ha dato le risposte più efficaci, nel corso della sua storia, ai bisogni dell’umanità e ha fatto della stabilità e dell’intergenerazionalità dell’impresa cooperativa un tratto distintivo, un valore etico che si è trasformato in un valore economico, in termini di produzione di ricchezza e lavoro a vantaggio dei soci e di tutta la collettività.

Il nostro modello d’impresa valorizza le risorse del territorio e persegue l’emancipazione socioeconomica delle persone che lo vivono; mette al centro la persona, il socio che si trova nella straordinaria posizione di essere imprenditore e, dunque, padrone di se stesso.

Certo, la nostra idea di democrazia economica cozza fragorosamente con il sistema economico imperante, sistema di capitale e non di persone!

E lo sappiamo bene cosa significa opporre i nostri valori, la nostra laboriosità e capacità di innovazione ad un mercato fatto di crisi economiche nazionali e internazionali, di ritardi di pagamenti della Pubblica Amministrazione (qui ci sono Ambiti che devono pagare ancora servizi espletati dalle nostre Cooperative nel 2016 e, in qualche caso, anche da qualche anno prima; ci sono Prefetture che si prendono la libertà, pur essendo la più diretta  rappresentanza dello Stato sui territori, di rischiare di far morire di crediti le nostre cooperative), di dumping e concorrenza sleale.

Oggi si dice – ma lo si dice periodicamente da quando cicliche crisi economiche caratterizzano la  modernità – che tutto sta cambiando e bisogna attrezzarsi.

Le uniche cose che cambiano davvero sono la velocità e il consumo delle e nelle nostre vite e ciò che ci viene richiesto è sempre e solo un adeguamento a tutto questo, con un evidente peggioramento delle condizioni di  vita materiale.

A fronte di tutto questo, la nostra prima sfida, come cooperazione sociale, è quella della legalità, del rimanere fedeli alla missione per cui abbiamo scelto di nascere. La nostra, di Associazione, è quella della battaglia contro la cooperazione spuria, cercando di coinvolgere anche i Sindacati, ad esempio, ad intensificare il loro intervento concreto sui tavoli degli Osservatori provinciali della cooperazione, convocati dagli Ispettorati del Ministero del lavoro.

Alla cooperazione sociale viene ormai sostanzialmente richiesto di essere un serbatoio di manodopera a basso costo; di sostituirsi alle carenze, alle insufficienze e inefficienze della Pubblica Amministrazione e, sempre più spesso, a condizioni economiche capestro, come quando il Comune di Napoli emana bandi in cui, di fatto, si userà il sistema del cottimo per pagare i servizi erogati, come è accaduto fino a poche settimane prima delle elezioni amministrative nel capoluogo campano. Una Pubblica Amministrazione dove la politica è ormai subalterna ai funzionari, incapace di individuare, a tutti i livelli, le cure per combattere crisi, recessioni e tutti i loro effetti devastanti.

D’altro canto, abbiamo anche noi il dovere di sostenere e promuovere concretamente lo sviluppo a fronte del rispetto delle regole, contribuendo ad evitare che decadano, come sta progressivamente accadendo, i valori etici e i principi della democrazia e del concetto di interesse generale.

Occorre ritrovare il senso di comunità oltre che al nostro interno, nel rapporto tra ruolo dello Stato e assunzione di responsabilità dei cittadini e delle cittadine. Occore una visione di sistema e risposte unitarie, condivise ai problemi, ai bisogni; occorre un un pensiero che metta più energicamente in gioco la nostra idea di economia e di progresso umano, i nostri modi di lavorare e vivere, il nostro rapporto con la natura: dobbiamo riunire ciò che è stato separato! Comprese le nostre consapevolezze! Uscire dalla crisi dovrà significare rimettere in ordine le priorità dei problemi e le nostre consapevolezze, solo così si genera proposta e azione condivisa.

Non possiamo ignorare, ad esempio, che la povertà è una conseguenza del fallimento collettivo nella garanzia di uguaglianze e opportunità e che dipende da un mercato del lavoro che crea la povertà. Pensiamo, ad esempio, all’aumento delle povertà educative, proprio quando la conoscenza è diventata parte così importante delle nostre vite, e non solo per essere inclusi nel mercato del lavoro. Si dice di investire di più in istruzione e ricerca, sacrosanto! Ma non dimentichiamo che anche nei Paesi che hanno investito di più in istruzione e ricerca, il grosso delle disuguaglianze è dipeso dalla capacità o meno di agire sul mercato del lavoro.

Tante conquiste del passato, costate sacrifici, vengono insidiate se non cancellate. Il risultato dell’erosione progressiva e costante sul fronte dei diritti è il riesplodere di quelle tendenze che credevamo superate per sempre: l’ostilità verso tutte le differenze, i razzismi, le nuove misoginie, i sovranismi. Tanti sono i campanelli di allarme di questa nuova barbarie: la condizione degli immigrati, a partire dai motivi – guerre, carestie, povertà estrema – che obbligano uomini e donne, in ogni parte del mondo e di ogni età, a lasciare i propri Paesi e affetti per andare incontro alla condizione di emarginati ed esclusi, quando se non alla morte; la condizione dei detenuti e delle detenute nelle nostre carceri (e dei figli delle detenute, specie se immigrate) e la certezza che l’impresa cooperativa non è sempre gradita al loro interno, come agente di lavoro e di emancipazione (con poche, illuminate eccezioni); la “volgarità” sessista e omofoba, la violenza contro le donne e contro persone LGBT; la violenza contro le disabilità, che siamo mentali, fisiche che vorrebbe di nuovo scaraventare le fragilità lontano dagli occhi; la violenza del mercato capitalista che sacrifica il pianeta rifiutando di mettere sotto controllo il riscaldamento climatico.

Noi non siamo gli economisti e gli uomini di governo che misurano crisi e ripartenza solo sulla base del Pil e, peggio ancora, sull’andamento delle borse: noi siamo cooperatori e cooperatrici sociali che partono, nella progettazione delle loro attività, dal territorio, dall’osservazione della realtà, dal concreto di quel che c’è bisogno. Per questo la battaglia culturale da cui nasce la cooperazione sociale deve essere ripresa e con forza. Noi siamo gli unici che possono aspirare a mettere davvero insieme sviluppo umano e crescita economica, come allargamento delle libertà di autodeterminazione e autorealizzazione degli individui in armonia con le comunità e generale miglioramento della qualità della vita. Dunque, da una parte ripresa di coscienza e, dall’altra una nuova attenzione alle questioni legate alla cura della salute economica dell’impresa cooperativa, questo dobbiamo rilevarlo come nostro limite dato il tasso di mortalità di imprenditorialità solidale. Occorre lavorare di più nell’ottica di un rafforzamento interno aziendale e sulla necessità di una maggiore attenzione sugli aspetti economici delle attività svolte.

Siamo imprese, cooperative, sociali ma imprese e dovremo preoccuparci di questi aspetti che comportano una sempre maggiore professionalizzazione del personale e di un più costante aggiornamento nella formazione.

Il nostro documento è il frutto di questi due anni di lavoro, racconta cosa abbiamo fatto, lancia degli ulteriori spunti di riflessione per il lavoro futuro e chiede alle Cooperative di continuare questo lavoro, con un atto di responsabilità particolare e collettivo insieme […]

[…] Come dichiarò e poi scrisse il nostro compianto Ivano Barberini: la cooperativa è come il calabrone, ovvero un insetto che, stando ai calcoli scientifici del naturalista Antoine Magnan, non potrebbe volare, ma che viceversa vola. Ecco qui sta il nostro sogno e la nostra sfida.

*Responsabile Legacoopsociali Campania e presidente Legacoop Campania